Mastequoia Op. 09-13
di Carlo Gabriele Tribbioli, Giacomo Sponzilli, Gabriele Silli, ITA 2013, 64'
MONTAGGIO: Valeria Biclungo   POST PRODUZIONE: Blue Film
MIX-AUDIO: Emiliano Di Meo   DISTRIBUZIONE: Federica Schiavo Gallery
PRODOTTO DA: Lo Schermo dell’Arte Film Festival    

Schermo dell'Arte - Archivio Film Presentato allo Schermo dell'arte Film Festival 2013
Vincitore della seconda edizione del Premio Lo schermo dell’Arte Film Festival 2011


Mastequoia Opera 09-13

Alla fine della proiezione del notevole film di Carlo Gabriele Tribbioli, Giacomo Sponzilli e Gabriele Silli, non si può non provare un certo qual senso di disorientamento. Perché? Perché molto probabilmente il film ci ha confuso. Confusione che però va presa per il suo lato positivo, non in quanto portatrice di disordine bensì di rimessa in discussione di certe abitudini, di certi stereotipi, arriverei a dire di certi pregiudizi. Quali? Quelli che un film deve essere obbligatoriamente narrativo e la narrazione rigorosamente cronologica e possibilmente mediata da un forte rapporto di causa effetto nell’articolazione delle immagini, degli eventi rappresentati. Pregiudizi piuttosto diffusi, direi, nonché ampiamente condivisi.

Bene, Mastequoia Opera 09-13 non è nulla di tutto questo. Arriverei a dire che il film non soltanto non è narrativo, ma nemmeno soggetto ad una cronologia (ovvero l’ordine temporale degli eventi) e nemmeno ad una presenza del tempo (almeno non nel senso tradizionale del fluire attraverso il presente di un futuro verso il passato) ma ad una sorta di infinita dilatazione del presente ottenuta forse attraverso un rifiuto della sintassi o, quantomeno, della sintassi intesa come successione, sequenza. Ciò non significa che le inquadrature di cui il film è composto non si presentino allo spettatore in un determinato ordine ma questo ordine non è un ordine obbligato da connessioni logico-denotative, bensì mirato a creare un tessuto, una struttura statica e al tempo stesso elastica che si può adattare a più sguardi, al modo di vedere e di sentire di ogni singolo spettatore. Una sorta di architettura molle, un vestito su misura che si ritaglia e si cuce addosso al mondo attraverso i diversi percorsi interpretativi di ogni singolo spettatore. Più che di una strada, di un sentiero tortuoso questa struttura ha la forma di una costellazione, dove le linee ideali che congiungono le diverse stelle possono essere percorse dall’osservatore in modo arbitrario e molteplice, senza un ordine prestabilito sebbene presentate attraverso lo sguardo formante degli autori che hanno raggruppato assieme queste stelle e non altre, che hanno proiettato la loro visione del mondo reale, tridimensionale su un piano bidimensionale perpendicolare allo sguardo. Altre scelte, altre angolazioni visive darebbero vita ad altre costellazioni. Non c’è una sintassi vera e propria, c’è però una forma: non c’è forse sintagma ma c’è senz’altro paradigma.

Direi che siamo in presenza di un film onirico non perché le immagini siano alterate, distorte... Tutt’altro. C’è un intenso realismo nell’immagine a fronte del quale la successione delle inquadrature si produce per ellissi estreme, più spaziali che temporali perché, come si è detto, in questo film il tempo si espande e si annulla nello spazio.

In questo primario, estremo realismo c’è un forte appiattimento del significante su se stesso, ripetitivo, ossessivo come un mantra che - effetto paradosso - attraverso l’opacità della superficie, apre alla trasparenza del senso e lo moltiplica nell’orizzonte più vasto se non infinito dell’oltre. Dell’oltre la cosa. Dalla semplicità del piano denotativo alla complessità di quello connotativo. Come in quel famoso verso di Gertrude Stein che dice:

“Rose is a rose is a rose is a rose...”

Onirico nel senso che le forme e i percorsi di senso sono altri da quelli della veglia anche se le immagini rimangono quelle riconoscibili della realtà di sempre; onirico nel senso che riproduce quasi la venuta alla luce dell’ es nella sua lotta per liberarsi dalle censure attraverso il ritrarsi dell’ io nel sonno e nel sogno.

Quegli stessi io, dell’autore come dello spettatore che, passando dal buio della sala alla luce della strada, vengono a poco a poco a ritrovarsi nell’ambiente e a congiungersi mentre la confusione anch’essa va diradandosi lentamente perché la memoria delle immagini del film si sovrappone al presente della realtà del mondo e la distanza si riduce ancora e si riconoscono le cose per quello che sono, famigliari e misteriose ad un tempo, ma ritrovate e riscoperte con il piacere di un’accresciuta consapevolezza.

(Testo di Mario Brenta - Roma, dicembre 2013)

Mario Brenta è regista, sceneggiatore e direttore della fotografia. Docente di Teorie e tecniche del linguaggio cinematografico all'Università di Padova e a Cinecittà alla scuola di cinema romana Act Multimedia.


Carlo Gabriele Tribbioli/ Giacomo Sponzilli/ Gabriele Silli
Carlo Gabriele Tribbioli è nato a Roma nel 1982 dove vive e lavora. La sua pratica, di orientamento prevalentemente progettuale, muove da ricerche e presupposti teorici per sviluppare installazioni, performance e film. /Giacomo Sponzilli, nato a Roma nel 1982, vive e lavora a Tokyo. E’ ricercatore in Architettura presso il Kengo Kuma Laboratory dell’Università di Tokyo. /Gabriele Silli è nato a Roma nel 1982 dove vive e lavora. Laureato in Filosofia, la sua pratica artistica, di impronta pittorica, spazia anche fra la scultura, la performance e l'assemblaggio.  /Il nome Mastequoia, a partire dal 2004, indica opere e lavori realizzati dai tre autori insieme.



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