Alla domanda sulle motivazioni che l’hanno spinto ad accettare che venga girato un film su di lui, Ulay, pioniere della body art e della performance a lungo collaboratore e compagno di Marina Abramović, risponde che un artista diviene molto più interessante quando sta per morire. Pochi mesi prima di iniziare la lavorazione del film, infatti, aveva ricevuto la diagnosi di un tumore. Il documentario lo segue tra la Slovenia e Berlino, New York e Amsterdam, città della sua giovinezza, diventando l’occasione per ripercorrere le memorie di quaranta anni di vita attraverso l’incontro di amici e artisti che l’hanno conosciuto, tra i quali Marina Abramović stessa, Chuck Close, il gallerista newyorkese Sean Kelly, e la direttrice di Performa, RoseLee Goldberg, e il montaggio di molti materiali d’archivio di sue opere e performance: un vero e proprio diario cinematografico alla scoperta di ciò che egli ha costruito e di ciò che lascerà dietro di sé.