Man in Black

Lo spazio vuoto e semibuio della galleria e del palcoscenico del celebre Théâtre des Bouffes du Nord di Parigi risuonano della voce e del corpo nudo dell’​ottantaseienne compositore cinese Wang Xilin. Xilin, uno dei più importanti musicisti cinesi classici contemporanei, racconta la dolorosa traiettoria della sua vita, da membro del partito comunista arruolatosi nell’Esercito Popolare di Liberazione nel 1949 al suo allontanamento dall’ideologia del partito fino a diventare un dissidente per difendere la libera espressione creativa. Il suo corpo nudo e indifeso porta i segni delle percosse di cui è stato oggetto durante la Rivoluzione culturale cinese degli anni ‘60. Segni che la magistrale fotografia di Caroline Champetier, memore dei dipinti di Lucian Freud e di Francis Bacon, riesce a caricare d’intensità cinematografica. Dalle sue parole comprendiamo come le ferite abbiano trovato una loro rappresentazione simbolica in alcune sinfonie da lui composte che udiamo come sonoro del film e che, in uno straordinario momento, Xilin stesso esegue al pianoforte al centro del palcoscenico. Figura di spicco nel panorama internazionale del cinema documentario e artista, con Man in Black Wang Bing, il cui Youth (Spring) era in concorso all’ultimo Festival di Cannes, ci offre un lucido ritratto di un uomo che ha fatto dell’arte la sua forma di protesta e di resistenza.