Yayoi Kusama ha quasi 90 anni. Dopo 30 anni vissuti in un istituto psichiatrico in Giappone – fin da bambina soffre di allucinazioni, manie ossessive-compulsive e depressione – e dopo almeno un ventennio di anonimato l’artista giapponese è oggi considerata una delle più grandi artiste della scena contemporanea mondiale. Nel 1993 ha rappresentato il Giappone alla Biennale di Venezia, dalla quale era stata cacciata nel 1966 quando si era esibita senza autorizzazione e aveva messo in vendita i pezzi della sua installazione Narcissus Garden per due dollari.
Nata nel 1929 in una famiglia conservatrice in un Giappone ancora rurale, ben presto manifesta il desiderio di trasferirsi in America con l’obbiettivo di fare arte arrivando a New York nel 1958. Negli anni ’60 attira l’attenzione della critica con dipinti che rappresentano ossessivamente dei punti colorati e con happening di nudi spesso interrotti dalla polizia. Nominato al Grand Jury Prize Documentary del Sundance Film Festival 2018, il film si sviluppa tra le interviste agli amici, ai collaboratori, agli studiosi e figure del mondo dell’arte, e contiene numerosi estratti dal diario della Kusama e dalle sue lettere, comprese quelle che da giovanissima inviò alla grande artista americana Georgia O’ Keeffe.